Amo noi
Con Camilla Dalmazio e la supervisione di Alina Marazzi
2023
ITA:
Testo di Camilla Dalmazio
“Amo noi” è un tentativo, forse vano, di appropriazione e di condivisione di una memoria che non ci appartiene, attraverso il montaggio di video d’archivio familiari, che vanno dagli anni settanta sino agli anni novanta, e l’uso di una partitura di atti performativi ripetuti, che rendono carne i ricordi.
L’idea per questo corto nasce dalla volontà di esumare le immagini e i suoni di due archivi di famiglia, più precisamente della famiglia Dalmazio-Cardinale e della famiglia Perale-Ferrarini.
Il risultato è un incontro di memorie, che giustapposte ed intrecciate alle nostre riprese, danno vita alla narrazione di una nuova storia, che rimane però irrisolta e sfuggente, come l’amore mancato tra Paolo e Anna, raccontato dalla voce di Paolo Perale (padre di Filippo Perale) e impersonato da noi stessi.
L’inizio di questo incontro è segnato da un battere di piatti che accade tra i due attanti della scena (ossia Paolo e Anna, di cui prendiamo le parti) e che, come un gesto magico, apre il varco di una dimensione onirica, ed insieme scandisce il principio e la fine di tutto.
Passando attraverso un arcobaleno sbiadito e un lugubre suono di campane, entriamo in flusso di immagini che si susseguono binariamente per quasi tutto il video, in modalità split-screen, offrendo una visione duale. Queste ultime, accostate tra loro, introducono un dialogo, a tratti assurdo, tra i reperti delle due memorie; nella realtà tanto distanti tra loro, sia temporalmente che per i contenuti che portano, ma di fatto rese comunicanti.
Quello che vediamo; dentro il cimitero di Belluno, o nelle piazze della città, nel mare della Capraia, nelle terre siciliane, ai funerali, al matrimonio, o dei nostri stessi corpi in scena, nonostante non collimi mai con gli eventi narrati dalle voci fuori campo, che emergono a tratti, crea in questo scarto tra i vari elementi, delle nuove significazioni, o diverse possibili storie, che restano aperte all’interpretazione di chi guarda.
Una scena significativa, che racchiude forse il senso di questo lavoro, è quella che mostra il momento in cui gli sposi cercano di stappare una bottiglia di spumante, al pranzo del matrimonio. In tutto quell estenuante sforzo si contiene, metaforicamente, il nostro tentativo di arrivare ad afferrare una verità, o di raggiungere una soluzione tra le memorie, che culmina però in una rottura, nel punto in cui le immagini si fanno più veloci e si appropriano dello schermo, nella sua interezza, in una sequenza bulimica e frenetica, e i nostri corpi si contorcono vorticando, senza però mai toccarsi.
Un ultimo battito di piatti interrompe la pioggia di immagini e ci riporta su di noi, in carne ed ossa, che ci guardiamo, uno di fronte all’altra, in piedi, reggendo questo sguardo solo per poco, per poi perderci nella luce del proiettore.
ENG:
"Amo noi" is perhaps a vain attempt at appropriating and sharing a memory that does not belong to us, through the editing of family archive videos spanning from the 1970s to the 1990s, and the use of a score of repeated performative acts that embody these memories.
The idea for this short film stems from the desire to exhume the images and sounds of two family archives, specifically the Dalmazio-Cardinale family and the Perale-Ferrarini family.
The result is a convergence of memories which, juxtaposed and intertwined with our own footage, create the narrative of a new story—one that remains unresolved and elusive, like the unfulfilled love between Paolo and Anna, narrated by the voice of Paolo Perale (father of Filippo Perale) and portrayed by ourselves.
The beginning of this encounter is marked by the clash of cymbals between the two characters (Paolo and Anna, whose roles we take on), a magical gesture that opens the portal to a dreamlike dimension, while also marking the beginning and the end of everything.
Passing through a faded rainbow and the ominous sound of bells, we enter a flow of images that follow each other in binary fashion throughout most of the video, using split-screen to offer a dual perspective. These images, placed side by side, introduce a dialogue—at times absurd—between the relics of the two memories; in reality, so distant from each other, both temporally and in content, but made to communicate nonetheless.
What we see—whether inside the Belluno cemetery, in the city squares, in the sea of Capraia, in the Sicilian lands, at funerals, weddings, or our own bodies on stage—never quite aligns with the events narrated by the occasional voiceovers. Yet, in the dissonance between these elements, new meanings or different possible stories are created, left open to the viewer’s interpretation.
One significant scene, perhaps encapsulating the essence of this work, shows the moment when the newlyweds struggle to open a bottle of sparkling wine at the wedding lunch. In that exhausting effort lies, metaphorically, our attempt to grasp a truth or to reach a resolution between the memories. However, this culminates in a rupture, as the images accelerate and take over the screen in its entirety in a frantic, bulimic sequence, while our bodies contort and whirl without ever touching.
A final cymbal clash interrupts the deluge of images, bringing us back to ourselves, in flesh and blood, staring at each other, standing face to face, holding each other's gaze for just a moment before we disappear into the light of the projector.